giovedì 20 settembre 2018

COME PREPARARSI MENTALMENTE AD UNA GARA…


Sono andato a recuperare qualche libro di psicologia utilizzato per uno degli esami che ho dato, e superato, all’ISEF di Firenze (Istituto Superiore di Educazione Fisica) ed ho provato a metter giù alcune note riguardanti le varie conversazioni che ho con alcuni podisti di cui seguo la preparazione.
“… corro per vincere…” , “… corro per dare il meglio di me stesso…”; “… corro per divertirmi….”.
In ognuna di queste frasi, inserite all’interno di una conversazione relative alla nostra attività sportiva,  oltre alle sensazioni che ogni singolo atleta prova sia prima che durante la propria “sgambata” si rileva anche il grado di maturità atletica con il quale l’atleta tenderà a misurarsi in gara.
Riporto quanto trovato :

Ad una prima impressione parrebbe quanto meno paradossale che un possibile favorito dichiari di non puntare alla vittoria, escludendo, come in questo caso, ragioni di condizione fisica. Ed è altrettanto improbabile che il detentore di un oro olimpico si accontenti di credere che ‘l’importante sia partecipare’.
In realtà siamo di fronte ad un esempio di riduzione delle aspettative, tipico espediente cognitivo utilizzato per alleggerire il carico d’ansia che precede una prestazione.
Intendiamoci, non viene abbassato il desiderio di vincere – che resta, ovviamente, la motivazione principale – quanto piuttosto viene ridotta la costrizione a vincere che costituirebbe una sorta di imperativo categorico in netto conflitto con il piacere della gara.

Se da una parte la tensione, nella giusta dose, è un ottimo ingrediente per affrontare l’attività agonistica, dall’altra il suo ‘sovradosaggio’ produce effetti contrari, un po’ come il peperoncino che esalta i sapori sempre a patto di non esagerare nella quantità.
Non accettare l’idea di una possibile sconfitta, con la conseguente delusione, equivale a caricarsi di una zavorra troppo onerosa.

Tutto ciò che impedisce una qualche “via di fuga”, costringendoci in un cunicolo mentale senza alternative, genera sempre risposte eccessivamente ansiose. Si pensi a quanti si paralizzano di fronte ad un esame –  magari nonostante la preparazione – per il timore insopportabile di andare incontro ad un giudizio negativo. La paura di un fallimento ipotetico provoca il fuggire l’evento (una fuga concreta) che concede un sollievo temporaneo – non sostenendo l’esame – a cui segue, però, l’inevitabile coscienza del fallimento, questa volta non presunto, ma reale.

Viceversa la disponibilità a tollerare l’errore ci restituisce, assieme alla dimensione umana della fallibilità, anche un maggior senso di sicurezza ed in fondo di libertà.
Liberi di poter anche sbagliare.
Dare il meglio di se stessi è dunque l’atteggiamento più equilibrato per mantenere la giusta carica agonistica senza incorrere nello stress da prestazione. Significa immaginare di fare la propria parte senza avere la pretesa onnipotente di dominare tutti gli eventi.

I meccanismi che si attivano prima di una prestazione mettono in gioco la propria autostima, vale a dire quella specie di rilevatore psichico che misura l’indice di gradimento verso se stessi. I suoi estremi oscillano tra il Sé ideale (come vorremmo essere) e il Sé percepito (come riteniamo di essere).
Una bassa autostima implica un grande divario tra le due componenti che si traduce in sfiducia nei propri mezzi e sottovalutazione delle proprie risorse. Questa condizione emotiva può innescare una spirale negativa.

Il forte bisogno di conferma determina un innalzamento delle aspettative che rende inaccettabile l’errore e incrementa la tensione portandola oltre il livello ottimale, ma la compromissione del rendimento e la conseguente delusione impoveriscono ulteriormente l’autostima, e così via. Non bisogna comunque credere che l’alta autostima determini solo effetti positivi. L’eccesso, in questo caso, induce ad una sopravvalutazione delle proprie capacità spingendo a conseguire mete oltre misura col rischio, ad esempio, di sbagliare alcuni allenamenti o peggio il ritmo-gara.
L’allenamento ‘mentale’ prima della competizione deve essere quindi finalizzato alla modulazione delle emozioni per mantenerle vive, ma in modo moderato evitando esagerate oscillazioni verso l’alto o verso il basso. Esattamente come l’impiego delle forze durante la corsa lunga che richiede una distribuzione ‘ragionata’ delle proprie energie.

La padronanza emotiva è il requisito indispensabile del maratoneta che però – specialmente se è un amatore – oltre ad una giusta dose di autostima, deve avere una altrettanto giusta dose di autoironia che gli consenta di inserire tra i pensieri prima della gara l’idea che questa è un gioco in cui è bello vincere: sensato dare il meglio di sé, ma soprattutto è sempre importante divertirsi.”


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