martedì 31 luglio 2018

MECCANISMI ENERGETICI(3^ parte)


Dove trovare il carburante? (3^ ed ultima parte) 

Si è detto in precedenza come il consumo energetico della corsa sia dato (approssimativamente) dal peso dell’atleta (e di ciò che si porta addosso), moltiplicato per il numero di km percorsi, indipendentemente o quasi dalla velocità tenuta. Un atleta di 70 kg dunque consumerà circa 7000 kcal per portare a termine l’intera gara.
Dove troverà quell’atleta le calorie necessarie?
Se ipotizziamo che faccia uso di soli zuccheri, attingendo alle sue scorte di glicogeno (per esempio se partisse a un ritmo forsennato), possiamo già pronosticare che si fermerà distrutto dopo una trentina di km o poco più. Le scorte di glicogeno infatti corrispondono a circa 2000 kcal complessive: 400 circa nel fegato e 1600 circa nei muscoli. E’ quindi evidente che non sarà quella la tecnica di gara da utilizzare. Tuttavia, qualunque sia la tecnica utilizzata (foss’anche la più accorta) le calorie provenienti dagli zuccheri potranno essere solo e unicamente quelle 2000: dovremo perciò provvedere in altro modo a coprire le 5000 kcal mancanti all’appello e – per quanto fin qui detto – sarà necessario che le nostre (quasi illimitate) scorte di grassi provvedano a quella copertura.
Abbiamo però imparato anche che i grassi da soli non possono fornirci energia. Dovremo dunque, in un certo senso, centellinare i pochi zuccheri disponibili, e fare invece abbondante uso di grassi fin dai primi metri di gara. Dato che gli zuccheri ci permettono di correre 30 km sui 100 totali, significa che, se vogliamo arrivare in fondo, in ogni momento della gara dovremo consumare il 70% di grassi e il 30% soltanto di zuccheri. Ciò non è sempre facilissimo, se si pensa a quanti incontrano il “muro” in maratona (dove la situazione è rovesciata, e gli zuccheri consentono di coprire il 70% della distanza di gara, lasciando il solo 30% ai grassi). Basta una partenza un po’ convulsa, un po’di nervosismo di troppo, una salita spezzagambe, la necessità di prendere posizione, e senza nemmeno accorgercene nei primi 5 km (corsi usando solo zuccheri) abbiamo già dilapidato 350 kcal di prezioso glicogeno, con la conseguenza di dover correre i residui 95 km con percentuali di grasso ancora più alte, che è come dire a velocità ancora più ridotta.
Perché deve essere molto chiaro a tutti, che più alta è la percentuale di grassi utilizzata in gara, più lento risulterà essere il ritmo complessivo, a causa della già citata maggiore richiesta di ossigeno per caloria prodotta. Ecco perché più grassi si immettono nella miscela energetica e più occorre rallentare. E d’altra parte più si rallenta, e più ci si può permettere di inserire grassi nel “motore”. E’ un dato empirico noto a chiunque abbia provato a testarsi in allenamento: svolgere lavori a digiuno o comunque in carenza di glicogeno, significa – a parità di sforzo percepito – peggiorare le proprie performance di un valore proporzionale all’uso di grassi che stiamo inserendo nella “miscela”.
Obiettivo quindi del maratoneta e dell’ultramaratoneta è quello di imparare a utilizzare come carburante la minima quantità utile di grassi necessaria a completare la gara senza crisi, ma nello stesso tempo al ritmo più veloce possibile consentito da quella miscela.
Ci ritorneremo sopra parlando di tecniche di allenamento, naturalmente, ma intanto incominciamo a fissare bene in testa questo dato: con i soli zuccheri non arriviamo in fondo, né in maratona, né in una 100, né tantomeno in una competizione più lunga. Per ottenere il nostro miglior tempo possibile è necessario che impariamo ad utilizzare i grassi come carburante, nella percentuale minima che ci consenta di soddisfare il fabbisogno calorico richiesto dalla distanza. In gara dovremo quindi mantenere una velocità che ci permetta un consumo percentuale di grassi pari a quello che la matematica ci dice essere necessario.
Non sembra di difficile comprensione, eppure poi in gara il 90% degli atleti si comporta diversamente, e l’osservazione degli ultimi km di gara di una maratona o di un’ultra è spesso uno spettacolo di sofferenza. Perché? L’eroismo del gesto è una cosa, farsi del male un’altra. Vedremo con dovizia di particolari come sia possibile completare (eroicamente) la gara, conservando un buon equilibrio psicofisico, e con la massima soddisfazione.

Qualche calcolo per familiarizzare
Facciamo un altro esempio, un po’ più complicato, per abituarci a questi calcoli (in realtà per nulla difficili) e cambiamo un po’ le carte in tavola. Prendiamo un atleta questa volta di 60 kg, quindi dotato di scorte di glicogeno pari a circa 1800 kcal. Le scorte sono proporzionali alla costituzione fisica della persona, perché si suppone che muscoli e fegato siano grandi in modo proporzionato all’altezza (meglio: alle dimensioni complessive) della persona. Ciò non è naturalmente sempre vero, ma è una semplificazione utile ai nostri calcoli. Ove ci fossero noti fattori che variano questi parametri (un’insufficienza epatica, una sottodotazione muscolare), andrebbe naturalmente inserito un correttivo. Tra questi correttivi, i più importanti riguardano lo stile di corsa (di cui parleremo tra breve) e l’eventuale sovrappeso (che tratteremo più diffusamente nella sezione dedicata all’alimentazione dell’atleta). E’ ovvio, infatti, che se l’atleta da 60 kg si porta dietro 10 kg di sovrappeso, le sue scorte di glicogeno non saranno proporzionate ai 60 kg, ma ai 50 che rappresentano il suo peso ideale. Per semplificare, comunque, considereremo l’atleta da 60 kg con un corretto stile di corsa e con un peso perfetto.
Quante calorie consumerà quest’uomo in una 24 ore? Stimiamo che voglia percorrere 220 km. Il suo consumo totale sarà dunque 60x220 = 13.200 kcal. Considerato che 1800 le può fornire attraverso l’apporto di glicogeno, gliene restano 13.200 – 1800 = 11.400 da procurare.
Chi corre 24 ore avrà naturalmente la possibilità di reperire delle calorie sotto forma di zuccheri anche nel corso della gara, visto che il ritmo è lento, sono previste soste, e vi è il tempo per assimilare i principi nutritivi ingeriti. Inoltre, al suo fabbisogno sportivo va aggiunto anche il consumo legato al metabolismo basale delle 24 ore (almeno altre 1500 kcal). Se dovessimo ipotizzare, semplificando un po’, un digiuno totale, potremmo dire che in ogni metro di gara questo atleta dovrebbe andare ad una velocità sufficientemente lenta da potersi permettere di consumare un’altissima percentuale di grassi. Quanta? Il calcolo è presto fatto: gli zuccheri disponibili sul totale delle kcal richieste sono 1800/13.200, ovvero il 13,6 % del totale. Ciò significa che l’atleta riuscirà a non avere crisi solo se in ogni metro di gara consumerà una miscela composta dal 13,6% di zuccheri e dall’86,4% di grassi.
Poiché Mc Ardle, Katch e Katch hanno riportato un massimo teorico dell’apporto di grassi nella miscela pari all’88%, si capisce subito come nella 24 ore, in assenza di supporti alimentari esterni, si sia assolutamente sul limite dell’umana possibilità di continuare a correre per l’intera durata di gara. Ciò significa che per le gare di durata maggiore (6 giorni, 48 ore, traversate di montagna, ultra trail) diventa necessario fermarsi anche agli atleti top specializzati in queste competizioni (oppure ricorrere ad un’integrazione mirata, che sarà anch’essa oggetto di discussione).
Se questo stesso atleta di 60 kg dovesse, invece, correre una maratona, il suo compito sarebbe di gran lunga più facile. Infatti le calorie a lui necessarie per completare la gara sono 60x42,2 = 2532 kcal. Ma poiché dispone di 1800 kcal come scorte zuccherine, il suo debito teorico a fine gara sarebbe di sole 732 kcal. Quindi poiché 732/2532 = 28,9% del totale, si può dire che tale atleta non soffrirà crisi (e non avrà bisogno di alcun integratore zuccherino) se riuscirà a correre l’intera maratona con il contributo nella miscela del 28,9% di grassi. Se invece decidesse di tenere un ritmo sconsiderato, consumando solo zuccheri, si fermerebbe inevitabilmente (o soffrirebbe le pene dell’inferno, trasformando le proprie proteine muscolari in zuccheri) intorno al km 30.
Da questi semplici calcoli si deduce anche come sia completamente inutile qualunque tipo di integrazione zuccherina in gare di distanza inferiore ai 30 km (posto, naturalmente, di partire con le scorte normalmente piene). Qualunque tipo di alimento ingerito in gara sottrae sangue dai distretti muscolari per spostarli verso la digestione, e dunque procura un danno certo. Tale danno è tanto più marcato, quanto più la velocità è sostenuta (digestione difficile) e tanto più l’alimento ingerito richiede un’assimilazione complessa (cibi solidi, grassi, proteine). Perché dunque ingerire qualcosa di diverso dalla semplice acqua (magari con un po’ di sali nelle torride giornate estive) in gare di durata relativamente breve come le mezze maratone? Impariamo a riflettere e vedremo che la conoscenza di dati scientifici al riguardo ci permetterà di non commettere banali errori che possono addirittura compromettere la nostra prestazione.
In sintesi si può dire che, poiché la disponibilità di carboidrati all’inizio della gara è più o meno uguale per tutti (in proporzione alle dimensioni fisiche), la necessità dell’apporto di grassi nella miscela di carburante è funzione della distanza di gara prevista, e il ritmo dovrà essere impostato in funzione del fatto che sia quello più veloce consentito dall’uso di quella percentuale di grassi.

Per provare a fare quattro conti
Se volessimo costruire una formula generale per definire la percentuale del consumo di grassi necessaria a completare senza “muri” una corsa di lunga distanza, dovremmo fare così: 
% zuccheri sul totale = (30 x Pi) + Za  /  (K x Pr x D)
e % grassi = 100 - % zuccheri
dove:
Pi = Peso ideale dell’atleta
(30 x Pi) rappresenta una stima approssimativa delle scorte di glicogeno su cui l’atleta può contare
Za = Zuccheri assimilati in gara (ovviamente minore di Zi = zuccheri ingeriti..)
K = Coefficiente di economicità di corsa (legata allo stile di corsa)
Pr = Peso reale dell’atleta, compreso abbigliamento, borracce ecc.
D = Distanza di gara

La formula può essere molto semplificata se consideriamo i seguenti casi particolari:
-        Pi = Pr   (quindi atleta in perfetto stato di forma, senza sovrappeso)
-        K = 1     (quindi stile di corsa sufficientemente fluido ed economico)
-        Za = 0    (quindi senza alcuna integrazione zuccherina in corsa)

Così facendo, per un atleta di 68 kg, otteniamo i seguenti valori :
Mezza maratona: zuccheri = 100% (o meglio: la disponibilità di zuccheri supera il fabbisogno)
Maratona: zuccheri = 71%, grassi = 29%
100 km: zuccheri = 30%, grassi = 70%

Qualche considerazione importante può desumersi dalla formula completa analizzando gli effetti, per esempio, di uno stile di corsa molto economico, o di un peso lontano da quello ideale.
Nel primo caso (stile di corsa molto economico) ipotizziamo K = 0,85. Già solo con questo cambiamento le tre percentuali (per lo stesso atleta) si modificano in questo modo:
Maratona: zuccheri = 84%, grassi = 16%
100 km: zuccheri = 37%, grassi = 63%
E’ chiaro che potendo in questo caso permettersi percentuali di grasso inferiori, la velocità mantenuta risentirà positivamente della modifica. In altre parole: correndo in modo più economico, potremo permetterci di mantenere un ritmo più elevato nelle gare di resistenza.

Situazione opposta se ci troviamo (con K = 1) a sopportare il carico di un certo sovrappeso. Facciamo il caso del nostro atleta (da 68 kg quando in perfetta forma) che pesi invece 78 kg, perché ha 10 kg di grasso superfluo.
In questo caso il valore al numeratore resta uguale (30 x 68 è sempre 2040 kcal), mentre quello al denominatore cambia (78 x 42,2), innalzando il consumo calorico totale.
Le due equazioni si modificano quindi come segue:
Maratona: zuccheri = 62%, grassi = 38%
100 km: zuccheri = 26%, grassi 74%
Risulta evidente come in questo caso la velocità che si può mantenere in gara sia sensibilmente rallentata, visto che – come già detto – è necessario fin dal primo metro mantenere il corretto rapporto zuccheri/grassi, e se la percentuale di grassi è alta il ritmo deve per forza essere più lento.

Dato per scontato che quanto fin qui detto sia chiaro, resta ora da capire se sia possibile ipotizzare quale sia l’effettivo rallentamento percentuale legato all’aumento della quantità di grassi all’interno della miscela utilizzata. Qui il dato può essere ottenuto solo dall’esperienza, in modo empirico. Lascio ai matematici il divertimento di trovare il rapporto preciso (posto che abbia un senso, visto che le varianti in gioco sono molte) tra allungamento della distanza di gara e rallentamento della prestazione. Mi sono preso la briga di confrontare un certo numero di primati personali su atleti di diverso livello, sesso ed età, e con le dovute approssimazioni ho ottenuto una regoletta semplicissima che dice che:
-        per ogni due punti percentuali in più di grassi presenti nella miscela energetica, si ha un rallentamento del ritmo pari a circa l’1%, considerando come punto di partenza il tempo ottenuto sui 10 km (in cui consideriamo pari a zero il consumo di grassi necessario).

Provate a fare un po’ di esercizi con i vostri tempi. Vedrete sicuramente dei valori approssimativi, tuttavia il dato può darci un’idea preziosa quando andremo per la prima volta ad affrontare in gara una distanza fino ad oggi mai percorsa. Se non disponiamo di un dato sui 10.000, possiamo anche utilizzare il dato disponibile su una mezza maratona, aggiustandolo di un 5%.
Ad esempio: corriamo la maratona in 2h 48’ (4’00/km) e vogliamo sapere, grosso modo, a che ritmo possiamo interpretare una gara di 80 km.
Incominciamo a calcolare la percentuale di zuccheri e grassi che consumeremo in gara. Se pesiamo 58 kg, il nostro peso è corretto e abbiamo una passabile economicità di corsa, consumeremo in gara circa il 37% di zuccheri e il 63% di grassi (provate ad applicare la formula). Ciò significa che rispetto al nostro tempo sui 10.000 (che è 36’00) dovremo applicare un rallentamento pari all’1% per ogni 2% di grassi nella miscela. Cioè (63/2) circa del 31%. Poiché 36’ sui 10k corrispondono a 2160 secondi, ovvero 216 secondi/km (3’36/km), un rallentamento del 31% significa 216 x 1,31 = 283 secondi/km, ovvero ancora 4’43/km. Questo sarà il ritmo rallentato “ideale” (cioè corrispondente alla giusta miscela di grassi e zuccheri) da tenere per tutti gli 80 km.
Lo stesso atleta in una 100 km dovrà aumentare un pochino la sua percentuale di grassi nella miscela (come già visto dovrà essere al 70%), e quindi il suo rallentamento non sarà più del 31% ma del 35%, il che corrisponde ad un ritmo al km da 4’51, per un tempo finale di circa 8h e 05’.

Un’ultimissima considerazione da fare su tutti questi calcoli, è che il consumo dei grassi in gara, anche con una condotta molto accorta, non riesce mai ad essere del tutto costante in quanto – come già precedentemente osservato – uno dei fattori di stimolo all’utilizzo dei grassi come carburante è proprio lo stato di esaurimento delle scorte normali di carboidrati. E’ chiaro come questa situazione peggiori via via che si macinano km, e quindi se parliamo di contributo medio del 70% da parte dei grassi, dovremo invece pensare a un contributo (magari) del 65% nella prima parte di gara, che poi gradualmente si porta al 70 e infine al 75% delle calorie consumate. Questo per completezza e precisione, anche se il dato non cambia di una virgola il significato di quanto detto, sottolineandone invece semmai il valore approssimativo di indicazione, piuttosto che di “verità matematica”. 


Clicca  QUI per la seconda parte e QUI per la prima parte

lunedì 30 luglio 2018

CHI HA CORSO

da sx verso dx: Pietro, Guido, Salvatore e Angelo

In questo fine settimana la partecipazione ad una manifestazione a scopo benefico ha portato in pista: Angelo, Guido e Salvatore.
In pista a Sassari prima hanno preso il via insieme a Pietro ad una staffetta( 100/200/300/400) e poi ad un 1000.
Nella staffetta si sono ben comportati conquistando un 5° posto assoluto e con una frazione dei 400 di Angelo sull’ordine dell’1’06”…poi si sono tutti e tre scatenati nel 1000.
Guido ha chiuso in 3’38”…” con volatona finale per non farmi battere allorchè ho sentito un tecnico urlare al proprio pupillo – questi li passi tutti!!.”
Angelo chiude con un ottimo 3'05" e….  “…considerando che avevo in mente un 3’07”…non male
Salvatore “.. ero nella batteria dei 3’45” e ci hanno messo la lepre che teneva il passo…son partito dietro di lui, madopo 100 metri l’ho passato. Ho fatto la mia gara ed alla fine sono arrivato 2° di batterai portandomi a casa un 3’22”…che non poi cosi male.  "
  

giovedì 26 luglio 2018

MECCANISMI ENERGETICI_parte 2^

Il meccanismo aerobico  ( parte 2^)
La velocità di soglia anaerobica è quella velocità che possiamo tenere per circa un’ora al massimo dell’impegno, senza accumulare quantità significative di acido lattico nel sangue. Ma nel corso della maggior parte dei nostri allenamenti, e sicuramente nel corso di qualunque gara di ultramaratona, terremo sempre delle velocità inferiori a questa soglia.
Allenarsi oltrepassando di volta in volta la velocità di soglia ha una discreta importanza, perché stimola i meccanismi naturali dell’eritropoiesi (la produzione di globuli rossi), e adatta l’organismo ad un rapido riassorbimento delle piccole quantità che si possono produrre in gara (tratti in salita, recupero distacchi ecc.). Tuttavia se vogliamo simulare il meccanismo energetico utilizzato dal corridore di ultramaratona dobbiamo ipotizzare che il meccanismo anaerobico sia praticamente assente.
Una semplice tabella (da Newsholme[1]) che riporta le percentuali dei diversi meccanismi fin qui trattati può aiutarci a capire meglio.

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Contributo percentuale dei differenti carburanti metabolici alla sintesi di ATP nelle diverse distanze di gara (semplificata):
                        Creatina-P     Anaerobico     Aerobico         Acidi grassi (aerobico)
100 m              50                    50                    0                      0
200 m              25                    65                    10                    0
400 m              12,5                 62,5                 25                    0
800 m              6                      50                    44                    0
1500 m            0                      25                    75                    0
5000 m            0                      12,5                 87,5                 0
10000 m          0                      3                      97                    0
Maratona       0                      0                      75                    25
80 km              0                      0                      35                    65
24 ore             0                      0                      12                    88
Calcio             10                    70                    20                    0

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Come si può vedere, già solo correndo una gara di 10 km, la componente energetica di derivazione lattacida scende a livelli bassissimi, e sparisce per distanze superiori. Visto, quindi, che dalla mezza maratona in su la componente aerobica è pari a circa il 100%, ci interessa ora indagare da quali carburanti sia costituito questo 100%, visto che dalla comprensione di questa dinamica derivano:
-        i mezzi d’allenamento più idonei per l’ultramaratona
-        le modalità di alimentazione durante la gara
-        le indicazioni sulla migliore tecnica da adottare in gara

Abbiamo già detto che il corpo può fare un uso energetico (seppure per vie diverse) di tutti i substrati introdotti con l’alimentazione: carboidrati, proteine e grassi.
Se riflettiamo sui motivi che spingono il nostro organismo ad usare l’uno o l’altro dei tre, scopriamo alcune cose interessanti. Prima di tutto che l’utilizzo di proteine (cioè degli aminoacidi, che ne rappresentano il componente di base) è legato solo a situazioni particolari di scompenso (come per esempio l’esaurimento dei carboidrati, o un’alimentazione eccessivamente proteica), e rappresenta un nonsenso energetico in condizioni normali. Inoltre l’uso di aminoacidi per produrre ATP rende necessario l’intervento di enzimi che rimuovano i gruppi azotati dagli aminoacidi stessi, provocando un superlavoro al fegato e ai reni. Occorre quindi saper leggere anche le risultanze dei lavori scientifici con occhio critico. Se è vero che all’allungarsi della distanza di gara il contributo proteico al consumo totale di calorie sale leggermente (dal 2 al 5% circa) ciò non è dovuto a qualche particolare utilità di queste sostanze, quanto piuttosto all’esaurimento delle scorte di carboidrati, che rende necessario l’utilizzo del sostituto più facile da ritrasformare. Questo tipo di consumo (estremamente dannoso dal punto di vista muscolare, e in buona parte responsabile del cosiddetto DOMS = delayed onset of muscular soreness, il dolore muscolare che insorge nei giorni successivi ad una gara di lunga durata) potrebbe essere evitato con molta facilità con un allenamento mirato al consumo dei grassi, di cui parleremo diffusamente più avanti. Ci basti per il momento questa considerazione per escludere, almeno temporaneamente, dai nostri calcoli il contributo proteico alla prestazione, che considereremo trascurabile, ed anzi da evitare quanto più possibile.
Rimangono dunque da esaminare carboidrati e grassi, la cui scelta è funzione di più di un fattore, e va quindi compresa molto a fondo, se vogliamo fare uso pratico di queste cognizioni in gara o in allenamento.
Diesel e benzina super
La prima cosa che differenza i grassi dai carboidrati è la loro necessità di ossigeno a parità di calorie prodotte. I grassi richiedono molto più ossigeno, a parità di ATP prodotto, per essere metabolizzati. Ciò significa che possiamo permetterci di usarli solo nelle situazioni in cui non abbiamo bisogno di prestazioni elevate. Se infatti utilizzassimo grassi come carburante nel momento in cui stiamo fuggendo terrorizzati inseguiti da un animale feroce, la nostra velocità sarebbe ridotta, e noi ci trasformeremmo ben presto ad essere il lauto pasto del predatore. Qualcuno forse ci ha provato, ma i soli a rimanere vivi sono stati i nostri progenitori che in tale situazione hanno imparato a fare uso solo ed unicamente del carburante più “produttivo” (gli zuccheri), e noi abbiamo ovviamente ereditato questo meccanismo.
Inseguiti dalla fiera, produciamo cortisolo e adrenalina, mediatori della risposta di stress e combattimento (o fuga), che orientano tutto il nostro organismo verso una possibile lotta, e i nostri consumi energetici verso l’uso del carburante più redditizio. Ma paura e tensione non sono i soli fattori che possono farci spostare la lancetta dei consumi. In generale, e semplificando un po’ a fini didattici, possiamo dire che:
1)     I grassi non possono essere utilizzati da soli, ma necessitano sempre di una frazione di zuccheri per poter essere bruciati
2)     Il corpo tende ad utilizzare una miscela più ricca di zuccheri se ha bisogno di una prestazione elevata (tecnicamente parlando, di una certa potenza)
3)     A parità di altre condizioni il consumo dei grassi è facilitato da ritmi blandi
4)     A parità di altre condizioni, la percentuale di grassi consumata cresce via via che le scorte di zuccheri (sotto forma di glicogeno) si svuotano
5)     L’attivazione del consumo dei grassi segue vie metaboliche specifiche che lavorano meglio se vi è un’abitudine all’uso di queste vie, e peggio se l’uso è raro o discontinuo
6)     Fattori mentali possono influenzare le percentuali di consumo di grassi e zuccheri
7)     Fattori cellulari specifici (permeabilità di membrana, funzionalità dei mitocondri, maggiore o minore presenza di carrier o di recettori) possono influenzare l’efficienza nell’uso dei grassi come substrato energetico.

L’esame separato di questi fattori ci dice molte cose. Analizziamole una per una.
Se i grassi non possono essere utilizzati da soli, significa che nella nostra tattica di gara dovremo fare in modo di avere sempre una certa quantità di zuccheri disponibili. Se le nostre scorte dovessero malauguratamente finire, ci troveremmo davanti ad un muro, purtroppo ben noto a molti maratoneti male allenati, o che hanno osato un po’ troppo rispetto a quelle che erano le loro capacità del momento. In gare di durata (più lunghe di 30-35 km) dovremo quindi sempre usare un mix di grassi e zuccheri, che ci consenta di arrivare in fondo senza mai finire del tutto la scorta di glicogeno con la quale siamo partiti.
Come fare? Seguendo la logica dei punti 2-3 e 4, ovvero mantenendo un ritmo sufficientemente blando da consentirci di attivare un adeguato consumo di grassi fin dal primo metro di gara, sapendo che il fenomeno verrà aiutato, via via che il chilometraggio si allunga, dalla tendenza autoprotettiva che vede incrementare l’uso dei lipidi allo svuotarsi delle scorte zuccherine.
Il punto 5 ci ricorda che solo con un allenamento regolare e costante possiamo insegnare al nostro organismo a gestire adeguate quantità di grassi per minuto (potenza lipidica). In assenza di questo adattamento è possibile che, appena ci si trovi in gara a correre a ritmi un po’ più elevati rispetto a quelli tenuti in allenamento, il consumo lipidico cali drasticamente. Tale evenienza deve essere naturalmente evitata.
Anche fattori mentali possono interferire con le percentuali di consumo dei substrati. Chi partisse per una gara molto teso, ansioso e preoccupato (magari perché particolarmente attaccato al risultato in modo compulsivo) attiverebbe gli ormoni tipici di quella situazione (adrenalina, per esempio) che possono – come già spiegato nell’esempio della fuga da un predatore – spostare il consumo tutto sugli zuccheri.
I fattori cellulari, infine, possono influenzare l’efficienza del trasporto dei grassi dal tubo digerente e dal sangue, all’interno della cellula, e del loro successivo utilizzo. Vi sono pratiche alimentari o farmacologiche che possono danneggiare questa efficienza. Per esempio, un’alimentazione ricca di grassi (a parità di apporto calorico complessivo) abitua le cellule a fare uso di quel carburante più di una dieta a prevalenza di carboidrati. Così come una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi (quelli degli oli di semi o di pesce) può migliorare grandemente la fluidità di membrana, rendendo molto più efficienti gli scambi di nutrienti tra cellula e cellula o tra cellula e sangue.
Infine, l’uso indiscriminato di antibiotici in grado di interagire con il DNA batterico (inibitori di sintesi proteica), possono alterare gravemente la funzionalità dei mitocondri, gli organelli cellulari deputati alla produzione di ATP per via aerobica (in quanto il cromosoma interno del mitocondrio è in tutto e per tutto simile a quello batterico). Mitocondri danneggiati non sono in grado di produrre energia con la stessa efficienza di mitocondri sani. E’ un esempio di come fattori farmacologici ritenuti (a torto) di nessuna influenza sulla prestazione, possono invece alterarla in modo rilevante.
Detto questo siamo in grado di comprendere meglio uno schema come quello sottostante, che ci illustra come varia la percentuale di zuccheri e di grassi in funzione dell’intensità di corsa (tratta da McArdle, Katch e Katch[2]):

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Schema dei consumi percentuali di grassi e zuccheri alle diverse intensità di lavoro

                                   Zuccheri         Grassi             Proteine
A riposo                     35%                60%                2-5%
Esercizio leggero       40%                55%                2-5%
Gara di resistenza      70%                15%                5-8%
Esercizio intenso       95%                3%                  2%

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Lo schema mostra con chiarezza come al crescere dell’intensità il consumo di zuccheri si impenni. Il consumo proteico qui riportato per le gare di resistenza è senza dubbio legato al catabolismo muscolare che tuttavia, con un adeguato allenamento e correndo ai ritmi ideali, può essere del tutto evitato.

Una volta compreso questo fatto, abbiamo in mano quasi tutti gli elementi per ragionare su come possa evolversi l’utilizzo dei substrati energetici durante un’ultramaratona.
Per aiutarci a capire meglio sarà bene fare qualche calcolo tornando alle equazioni già viste in precedenza, sviluppandole, per esempio, per una 100 km.


[1] Newsholme E.A. et al. – Physical and mental fatigue – Brit. Med. Bull., 48-477, 1992
[2] Mc.Ardle W., Katch F. e V. – Alimentazione nello sport – Ed. Ambrosiana 2001

FINE PARTE SECONDA ......LEGGI LA PRIMA PARTE ....LA PROSSIMA SETTIMANA LA 3^ ED ULTIMA PARTE

domenica 22 luglio 2018

Chi ha corso


Ignazio corre venerdi alla Corsa del Pomodoro a Pianiga(Ve) e pur non essendo in gran forma …” …fatta la Cosa del Pomodoro e sono arrivato tra primi 20 assoluti( nda_quindi in premio).Non ho spinto al massimo, le gambe sembra che rispondano meglio dopo la Maratona di due settimane fa…
Filippo
Filippo si presenta alla Cansiglio Run( km23,6) dopo aver fatto 15 gg di vacanza e dopo solo una settimana di corsa in vista di riprendere il programma peri prossimi appuntamenti autunnali…bene “Una bella fatica! Salite e discese fangose. Nonostante  il periodo di vacanza comunque ho fatto una buona settimana e oggi, tranne nel finale che non ne avevo più, sono andato bene! Nono assoluto!, ho corso per un bel pezzo con l’amico Andrea. Tutti e due scivolavamo come sui pattini a causa del terreno a tratti fangoso in quanto siamo partiti con scarpe da strada, mentre sarebbero state comode scarpe da trail. Ad un certo punto io ho rallentato e lui ha aumentato. Comunque ho chiuso in 1:49’59” …ben felice!      







giovedì 19 luglio 2018

MECCANISMI ENERGETICI


Obiettivo dell’ultramaratoneta è quello di imparare a utilizzare come carburante la minima quantità utile di grassi necessaria a completare la gara senza crisi, ma nello stesso tempo al ritmo più veloce possibile consentito da quella miscela.” - Parte Prima di tre

L’equazione del consumo energetico: quanto consumiamo?
Il primo problema che deve porsi un aspirante ultramaratoneta riguarda il carburante necessario per arrivare in fondo alla prova. Se dovesse finire le proprie scorte energetiche (o essere impossibilitato ad usarle) prima della fine della corsa, sarebbe crisi e forse ritiro. Occorre dunque fare subito chiarezza su questo importante punto, spesso purtroppo ignorato anche da chi prepara gare più brevi. Mettiamoci comodi, e cerchiamo di capirlo bene, perché non è elemento su cui si possa sorvolare, almeno non nel caso dell’ultramaratona.
Incominciamo col definire quali siano le nostre scorte di carburante e dove siano localizzate.
Se ci schieriamo alla partenza di una gara tre ore dopo un buon pasto (quindi con tutti i “serbatoi” correttamente riempiti), secondo i dati riportati da O’Brien et al.[1] per un atleta del peso di 70 kg, disponiamo circa di 100 g di zuccheri nel fegato e di circa 400 g all’interno dei muscoli, per un totale pari a circa 2000 kcal. Questi zuccheri si trovano sotto forma di glicogeno, che è un polimero del glucosio (cioè come una collanina ramificata, in cui ogni perla rappresenta una molecola di zucchero semplice), che rilascia glucosio via via che questo viene consumato dai muscoli con lo sforzo.
Disponiamo però anche di una scorta di grassi quasi illimitata. Se supponiamo che l’atleta da 70 kg abbia una massa grassa “da maratoneta” pari al 12% del peso, disporremo di 8,4 kg di grassi che – se fossero tutti utilizzabili – potrebbero apportarci la bellezza di 75.600 kcal. Benché una larga parte di questa dotazione di grasso sia funzionale all’organismo, si può per approssimazione considerare illimitata la disponibilità di grassi per uso energetico, almeno se rapportata all’entità della riserva di zuccheri. Il problema relativo all’uso dei grassi, come vedremo tra breve, è che possono essere consumati solo ed unicamente insieme agli zuccheri: mai da soli.
Anche le proteine, in particolari condizioni metaboliche, possono fornire un contributo non indifferente, come vedremo più avanti.
Il nostro corpo, dunque, dispone di 2000 kcal dagli zuccheri, e di tutte le calorie che vuole dalle sue scorte di grassi, oltre ad una piccola frazione dalle proteine. Ma di quante calorie il nostro atleta può avere bisogno, per esempio, in una 100 km?
Proviamo a conoscere, ed applicare, l’equazione del consumo energetico della corsa:
Consumo (kcal)  = K x (Peso atleta) x (km percorsi)
dove K rappresenta il cosiddetto “coefficiente di economicità di corsa”.
Il coefficiente K ha valori che si aggirano intorno all’unità e, dunque, un calcolo molto approssimativo potrebbe addirittura toglierlo dall’equazione, semplificando le cose. Se K è uguale a uno, infatti, le kcal consumate sono pari ai kg di peso per i km percorsi. Semplicissimo: 70 kg per 100 km dà 7000 kcal (kilocalorie).
In realtà K, come vedremo più avanti parlando di “stile di corsa”, assume valori che possono variare da 0,85 per atleti di alto livello con corsa particolarmente economica e poco dispendiosa, fino a 1,1-1,15 per principianti che sprecano un mucchio di energia caracollando, agitando le braccia, saltellando, “zappando” il terreno, ecc. Se consideriamo l’amatore medio che si avvicina alle lunghe distanze e (ottimisticamente) lo pensiamo dotato di una tecnica di corsa accettabile, supponendo che venga da una qualche esperienza in maratona, possiamo sbagliare di poco calcolando un K pari a 0,9.
Questo significa che il consumo energetico in kcal diventa: 0,9 x 70 x 100 = 6300 kcal.
Il calcolo è approssimativo, ma a noi è largamente sufficiente per compiere qualche simulazione operativa che ci aiuti a capire le dinamiche metaboliche dell’ultramaratona.
La domanda che dobbiamo porci ora è dove trovare le 6300 kcal che ci servono a completare la gara, nel modo più semplice ed efficiente possibile.
I diversi meccanismi per la produzione di energia muscolare
Dalle premesse che abbiamo fin qui visto, risulta chiara l’impossibilità di completare una 100 km facendo conto sulle sole 2000 kcal di zuccheri di cui disponiamo. Il nostro organismo dovrà dunque fare uso anche delle scorte di grassi, di alcune proteine, e di quanto saremo in grado di fargli assumere (o meglio, assimilare) durante la prova. Scopriremo però che dalla capacità di utilizzare con maggiore efficienza l’uno o l’altro substrato può derivare un risultato prestativo completamente diverso, anche a parità di condizioni iniziali. Andiamo quindi con ordine e cerchiamo di capire meglio come funziona il nostro organismo sotto sforzo.
Capire a fondo le dinamiche metaboliche del nostro “motore” richiederà un piccolo ripasso di chimica. Ma non c’è bisogno di spaventarsi: dove non vi sarà tutto chiaro, cercate di afferrare il concetto di base e proseguite. Andando avanti nella lettura i concetti si chiariranno sempre di più.
I nostri muscoli hanno bisogno di energia per contrarsi. Dalla contrazione deriva uno spostamento (una trazione, una rotazione) di un segmento osseo collegato al muscolo attraverso un tendine, grazie al quale ci muoviamo. Le fibre (e fibrille) muscolari sono fatte di filamenti di actina e miosina, proteine a struttura lineare che hanno la caratteristica di poter scorrere l’una sull’altra agganciandosi e sganciandosi, così da generare la contrazione che produce il movimento.
La “benzina” di cui actina e miosina hanno bisogno per agganciarsi e sganciarsi si chiama ATP (adenosintrifosfato) che è un nucleotide (la materia di cui sono fatti i nostri cromosomi) specializzato nell’immagazzinamento e rilascio di energia nella cellula. Nella forma “scarica” (ADP = adenosindifosfato) c’è un gruppo fosforico in meno rispetto all’ATP (forma “carica”). In pratica l’energia proveniente dai cibi con cui ci siamo alimentati viene chimicamente fissata in quel legame fosforico che trasforma l’ADP in ATP, e rimane a disposizione dei nostri muscoli per il momento in cui dovrà essere utilizzata.
In realtà, essendo l’ATP una molecola piuttosto grande, non è conveniente stipare troppa energia sotto quella forma. L’ATP così contiene una piccola scorta di energia di pronto uso, mentre il resto viene accumulato nella cellula muscolare sotto forma di glicogeno, un polimero del glucosio molto simile all’amido. Via via che la cellula consuma energia, dal glicogeno vengono staccati dei pezzettini di glucosio (come perline di una collana) dalla cui combustione viene ricavata l’energia per ricaricare l’ADP ad ATP.
L’ATP dunque rappresenta la moneta di scambio richiesta dai muscoli per funzionare, ma la sua ricarica dipende dalla disponibilità di glucosio da bruciare (o, come vedremo, di pochi altri combustibili) esistente all’interno della cellula stessa.
Una precisa sequenza di serbatoi
Ogni volta che incominciamo a muoverci partendo da fermi, i nostri muscoli si servono di un meccanismo per la ricarica dell’ATP che fa uso della creatina. Questo aminoacido, nella sua forma legata al fosforo, è in grado di cedere energia istantaneamente, senza bisogno di ossigeno né di produzione di acido lattico. Viene perciò chiamato meccanismo anaerobico-alattacido. Non ci soffermeremo su questa modalità, perché è quella utilizzata da chi effettua sforzi esplosivi di durata brevissima. In una gara di corsa di 100 m il 50% circa dell’energia necessaria è prodotto attraverso questa via, ma già in un 5000 m il suo contributo è vicino allo zero.
Molto più importante è invece il meccanismo di ricarica legato alla produzione di acido lattico, di cui sarà necessario parlare un po’ più dettagliatamente.
Il glucosio può bruciare per produrre ATP attraverso vie metaboliche diverse. In presenza di ossigeno in quantità sufficiente, la combustione del glucosio si completa fino ad acqua e anidride carbonica, estraendo tutta la possibile energia contenuta nello zucchero di partenza. La combustione completa può ricaricare nella cellula fino a 38 molecole di ATP. Se però la combustione del glucosio avviene in assenza di ossigeno, il ciclo metabolico cosiddetto “ciclo di Krebs” smette di funzionare, così che la cellula è costretta ad “inventarsi” una via alternativa che possa fornire almeno un pochino di energia, anche in condizioni anaerobiche. Il glucosio così si scompone fino all’ultima molecola possibile prima di entrare nel ciclo (l’acido piruvico), e la trasforma in acido lattico ricavando la miseria di due sole molecole di ATP (al posto delle 38 consentite dall’altra via).
Non sorprende dunque che in condizioni normali, con ossigeno sufficiente, la cellula percorra la via completa fino ad acqua e anidride carbonica. L’ottenimento invece del classico “uovo oggi” (2 ATP) invece della “gallina domani” (38 ATP) rappresentato dal ciclo completo, diventa un obbligo nel caso malaugurato in cui l’ossigeno non sia disponibile, e un suo uso parziale diventa sempre più importante via via che l’ossigeno diminuisce.
Nella nostra cellula muscolare, dunque, in presenza di ossigeno viene sempre scelta la via di demolizione completa del glucosio (che avviene in parte nel citoplasma e in parte nel mitocondrio, l’organello cellulare specializzato nella produzione di energia). Quando però corriamo ad un ritmo un po’ troppo sostenuto in rapporto al nostro stato di allenamento, l’ossigeno che trasferiamo ai tessuti diventa in parte insufficiente. In quel momento, la produzione di acido lattico, che era assente o comunque a livelli basali, incomincia a crescere dal punto di vista quantitativo, fino a diventare la fonte prevalente di ricarica per l’ATP se lo sforzo richiesto cresce ulteriormente.
In gare come i 200 o i 400 m il meccanismo dell’acido lattico contribuisce a più del 60% delle calorie consumate per muovere i muscoli, mentre il suo contributo incomincia a scendere al crescere della distanza e arriva praticamente ad azzerarsi sulla maratona. Perché dunque parliamo della via dell’acido lattico se il suo utilizzo in una 100 km è irrisorio?  Perché alcuni dei valori a noi necessari per comprendere le modalità di allenamento più idonee per il centochilometrista fanno riferimento a velocità di soglia legate all’accumulo di questo specifico metabolita. Cerchiamo quindi di capire quando e perché l’acido lattico viene prodotto.
Abbiamo ipotizzato che il nostro atleta stia lavorando a velocità crescenti (e quindi, supponiamo, anche a ritmo cardiaco crescente). Fino ad un certo punto l’ossigeno è sufficiente a bruciare tutto il carburante zuccherino necessario alle cellule muscolari per rifornirsi di ATP. Poi, da un certo momento in avanti, la fatica si fa così intensa (e le pulsazioni così alte) che l’ossigeno disponibile non riesce ad essere trasportato con sufficiente rapidità ai tessuti, e le cellule muscolari si trovano in “debito”. E’ chiaro che a quel punto il fattore limitante è l’ossigeno: la cellula riduce quindi l’ossidazione completa dei substrati zuccherini, e incomincia ad attivare la via dell’acido lattico. Le due vie, infatti, possono in parte coesistere. Il vantaggio di questa operazione è chiaro: poiché non vi è più ossigeno sufficiente per produrre ATP con la via più produttiva, si affianca alla prima una via meno efficiente ma che ha il pregio di non avere alcun bisogno di ossigeno. Il processo (chiamato glicolisi) che porta da glucosio ad acido piruvico, e da lì ad acido lattico, si svolge interamente nel citoplasma della cellula, e non ha bisogno né di ossigeno né dell’intervento dei mitocondri.
La produzione di acido lattico, tuttavia, non è indifferente per il muscolo, ma ha un effetto di acidificazione progressiva del tessuto, fino ad arrivare ad impedire la normale funzionalità della cellula, costringendo l’atleta a fermarsi. Questo è il motivo principale per il quale un atleta che corra ad alta velocità possa tenere tale ritmo (più alto della soglia di inizio dell’accumulo di acido lattico) per tempi molto brevi. Tanto più brevi quanto più intenso quantitativamente è l’accumulo di questa sostanza. Un buon mezzofondista, e ancor di più un buon interprete delle gare di velocità prolungata come 400 e 800, dovrà quindi allenare con grande cura la capacità del proprio organismo di resistere il più a lungo possibile in queste condizioni metaboliche, o meglio ancora a ridurre quanto più possibile l’accumulo di acido lattico attraverso gli adattamenti fisiologici offerti dall’allenamento.
[1] O’ Brien et al. – Carbohydrate dependance during marathon running – Medicine and Science in Sports and Exercise, 25, 9 (1993), 1009-1017

Fine parte prima di tre

mercoledì 11 luglio 2018

Correre dopo i 50 anni....consigli


La vita di uno sportivo non si ferma “bruscamente” all'età di 50 anni. Perché anche dopo il "mezzo secolo", è sempre possibile continuare a progredire, occorre solo sapere adattare certi allenamenti.
Tuttavia, bisogna rendersi conto che le nostre capacità come atleti, con gli anni, tendono a ridursi. Due fattori giocano a nostro sfavore: una diminuzione della VO2 max e un deterioramento delle capacità muscolari.
il respiro....
Il degrado delle capacità cardiovascolari è molto progressivo. Questo è ciò che il fisiologo svedese Astrand voleva illustrare, con la famosa formula che dovrebbe dare una stima della frequenza cardiaca massima (MHR): 220 meno età in anni per gli uomini e 226 meno età in anni per le donne. In breve, vedremmo che la nostra FCM diminuisce di un battito al minuto ogni anno che passa. Ovviamente, un corridore che ha iniziato a correre da giovane e che si è sempre allenato vedrà un declino più pronunciato nel suo livello di prestazioni dopo 50 anni. Mentre colui che avrebbe ripreso a correre vicino alla quarantina avrà un significativo margine di progresso. Questo "degrado" sarà tanto più lento se verrà portato avanti una preparazione diversificata finanche a prove di velocità. Se alcuni anni fa agli ultra 50enni veniva proposto in gran parte un lavoro orientato sulla resistenza e su lavori con un’intensità vicino all’ 80% della FCM, oggi sappiamo che possono essere proposte delle sessioni con alta intensità senza correre rischi.
...e i muscoli
Dall'età di 30 anni, la capacità muscolare diminuisce (dal 3 all'8% per decennio), ma questa situazione accelera di nuovo dopo 50 anni, con una degenerazione del tessuto muscolare che si traduce in una marcata perdita di potenza. Come ben sapete a livello muscolare esistono le fibre “bianche” o di tipo II e le fibre “rosse” o di tipo I, bene sono proprio le fibre bianche( contrazione rapida…velocità) che hanno la perdita più marcata.
Questa perdita di forza è legata alla diminuzione della capacità di rigenerazione del tessuto muscolare..in parole povere se il muscolo deve contrarsi, trovando meno fibre muscolari, lo farà con minore energia e allo stesso tempo si avrà anche un’alterazione dell’elasticità. Ecco perché consiglio, dopo 50 anni, ma non solo il riscaldamento e il mantenimento della flessibilità che saranno le chiavi della longevità atletica.
Dopo 50 anni attento a…..
1) Mantenere sempre, nel corso della preparazione, delle sedute di interval training sia per mantenere le capacità del sistema cardiovascolare, ma anche per una sollecitazione ottimale di tutte le fibre muscolari;
2) Porre attenzione al riscaldamento : almeno 20 o 30 minuti di corsa lenta seguita da alcuni esercizi di allungamento e alla fine qualche allungo di 60_80 m;
3) Sostituire , quando possibile, un’uscita di corsa con un’uscita in bicicletta, una passeggiata in montagna, una nuotata o un allenamento di palestra dove si dovrà richiedere comunque  la consulenza professionale per  adattare il lavoro alla corsa;
4) Eseguire, almeno una volta al mese, un lavoro con allunghi in salita seguiti da una corsa media_veloce;
5) Pianificare almeno due periodi nell'anno di una o due settimane senza correre, ma praticando altre attività sportive;
6) Occhio all’alimentazione: proteine anche a colazione se si riesce ;
7) Mantenere l'idratazione regolare per tutto il giorno.
8) Infine, l'errore più comune di molti podisti esperti è quello di voler "correre" dopo il loro passato aumentando il carico di allenamento, con il rischio di superare la capacità di rigenerazione muscolare. 
9) visita medica sportiva ogni anno anche se non si gareggia!
….e buona corsa a tutti!


lunedì 9 luglio 2018

Chi ha corso

Questo fine settimana è solo Ignazio che ha gareggiato e precisamente sabato.
La scelta della distanza,visto anche la stagione, è stata dettata soprattutto da riprovare una distanza corsa lo scorso anno nello stesso posto: Maratona ( km 42,195 con un dislivello positivo di 1242 m e negativo di 1543 m, mentre il punto più alto raggiunto è posto a 1683 m). 
Il percorso è caratterizzato principalmente da strade forestali e alcuni tratti di sentiero facilmente accessibili…pertanto oltre alla classica distanza ci mettiamo il dislivello e la strada non proprio asfaltata.
La gara si è svolta a Primiero(Tn). VIDEO
Con Ignazio pur non avendola inserita in tabella per tempo si è scelto di modificare una parte del programma in modo tale da poter fare una gara dignitosa ed invece “…è stata una bella gara, sofferta un po’ nel finale, ma alla fine ho limato il tempo dello scorso anno. La partenza è stata un po’ più veloce del previsto , ma poi mi sono regolato."

Pos. Cat.
C Nome
Cat.
Risultato
RealTime
 6 
 IGNAZIO
 SM 
 03:46:56 
 03:46:51 

mercoledì 4 luglio 2018

DOPING...ALCUNE NORME E CHIARIMENTI

Sempre più spesso tra giovani e meno giovani, tra atleti d’elite o “mezze pippe” , qualcuno viene pescato dalla pur larga rete  dei controlli antidoping.
Facciamo un po’ di chiarezza anche per non incorrere in “incidenti casalinghi”: