La velocità di soglia anaerobica è quella velocità che
possiamo tenere per circa un’ora al massimo dell’impegno, senza accumulare
quantità significative di acido lattico nel sangue. Ma nel corso della maggior
parte dei nostri allenamenti, e sicuramente nel corso di qualunque gara di
ultramaratona, terremo sempre delle velocità inferiori a questa soglia.
Allenarsi oltrepassando di volta in volta la velocità di
soglia ha una discreta importanza, perché stimola i meccanismi naturali
dell’eritropoiesi (la produzione di globuli rossi), e adatta l’organismo ad un
rapido riassorbimento delle piccole quantità che si possono produrre in gara
(tratti in salita, recupero distacchi ecc.). Tuttavia se vogliamo simulare il
meccanismo energetico utilizzato dal corridore di ultramaratona dobbiamo
ipotizzare che il meccanismo anaerobico sia praticamente assente.
Una semplice tabella (da Newsholme[1]) che
riporta le percentuali dei diversi meccanismi fin qui trattati può aiutarci a
capire meglio.
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Contributo percentuale dei differenti carburanti
metabolici alla sintesi di ATP nelle diverse distanze di gara (semplificata):
Creatina-P Anaerobico Aerobico Acidi grassi (aerobico)
100 m 50 50 0 0
200 m 25 65 10 0
400 m 12,5 62,5 25 0
800 m 6 50 44 0
1500 m 0 25 75 0
5000 m 0 12,5 87,5 0
10000 m 0 3 97 0
Maratona 0 0 75 25
80 km 0 0 35 65
24 ore 0 0 12 88
Calcio 10 70 20 0
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Come si può vedere, già solo correndo una gara di 10 km, la componente
energetica di derivazione lattacida scende a livelli bassissimi, e sparisce per
distanze superiori. Visto, quindi, che dalla mezza maratona in su la componente
aerobica è pari a circa il 100%, ci interessa ora indagare da quali carburanti
sia costituito questo 100%, visto che dalla comprensione di questa dinamica
derivano:
-
i mezzi d’allenamento più idonei per l’ultramaratona
-
le modalità di alimentazione durante la gara
-
le indicazioni sulla migliore tecnica da adottare in
gara
Abbiamo già detto che il corpo può fare un uso energetico
(seppure per vie diverse) di tutti i substrati introdotti con l’alimentazione:
carboidrati, proteine e grassi.
Se riflettiamo sui motivi che spingono il nostro organismo
ad usare l’uno o l’altro dei tre, scopriamo alcune cose interessanti. Prima di
tutto che l’utilizzo di proteine (cioè degli aminoacidi, che ne rappresentano
il componente di base) è legato solo a situazioni particolari di scompenso
(come per esempio l’esaurimento dei carboidrati, o un’alimentazione eccessivamente
proteica), e rappresenta un nonsenso energetico in condizioni normali. Inoltre
l’uso di aminoacidi per produrre ATP rende necessario l’intervento di enzimi
che rimuovano i gruppi azotati dagli aminoacidi stessi, provocando un
superlavoro al fegato e ai reni. Occorre quindi saper leggere anche le
risultanze dei lavori scientifici con occhio critico. Se è vero che
all’allungarsi della distanza di gara il contributo proteico al consumo totale
di calorie sale leggermente (dal 2 al 5% circa) ciò non è dovuto a qualche
particolare utilità di queste sostanze, quanto piuttosto all’esaurimento delle
scorte di carboidrati, che rende necessario l’utilizzo del sostituto più facile
da ritrasformare. Questo tipo di consumo (estremamente dannoso dal punto di vista
muscolare, e in buona parte responsabile del cosiddetto DOMS = delayed onset of
muscular soreness, il dolore muscolare che insorge nei giorni successivi ad una
gara di lunga durata) potrebbe essere evitato con molta facilità con un
allenamento mirato al consumo dei grassi, di cui parleremo diffusamente più
avanti. Ci basti per il momento questa considerazione per escludere, almeno
temporaneamente, dai nostri calcoli il contributo proteico alla prestazione,
che considereremo trascurabile, ed anzi da evitare quanto più possibile.
Rimangono dunque da esaminare carboidrati e grassi, la cui
scelta è funzione di più di un fattore, e va quindi compresa molto a fondo, se
vogliamo fare uso pratico di queste cognizioni in gara o in allenamento.
Diesel e benzina super
La prima cosa che differenza i grassi dai carboidrati è la
loro necessità di ossigeno a parità di calorie prodotte. I grassi richiedono
molto più ossigeno, a parità di ATP prodotto, per essere metabolizzati. Ciò
significa che possiamo permetterci di usarli solo nelle situazioni in cui non
abbiamo bisogno di prestazioni elevate. Se infatti utilizzassimo grassi come
carburante nel momento in cui stiamo fuggendo terrorizzati inseguiti da un
animale feroce, la nostra velocità sarebbe ridotta, e noi ci trasformeremmo ben
presto ad essere il lauto pasto del predatore. Qualcuno forse ci ha provato, ma
i soli a rimanere vivi sono stati i nostri progenitori che in tale situazione
hanno imparato a fare uso solo ed unicamente del carburante più “produttivo”
(gli zuccheri), e noi abbiamo ovviamente ereditato questo meccanismo.
Inseguiti dalla fiera, produciamo cortisolo e adrenalina,
mediatori della risposta di stress e combattimento (o fuga), che orientano
tutto il nostro organismo verso una possibile lotta, e i nostri consumi
energetici verso l’uso del carburante più redditizio. Ma paura e tensione non
sono i soli fattori che possono farci spostare la lancetta dei consumi. In
generale, e semplificando un po’ a fini didattici, possiamo dire che:
1) I
grassi non possono essere utilizzati da soli, ma necessitano sempre di una
frazione di zuccheri per poter essere bruciati
2) Il
corpo tende ad utilizzare una miscela più ricca di zuccheri se ha bisogno di
una prestazione elevata (tecnicamente parlando, di una certa potenza)
3) A
parità di altre condizioni il consumo dei grassi è facilitato da ritmi blandi
4) A
parità di altre condizioni, la percentuale di grassi consumata cresce via via
che le scorte di zuccheri (sotto forma di glicogeno) si svuotano
5) L’attivazione
del consumo dei grassi segue vie metaboliche specifiche che lavorano meglio se
vi è un’abitudine all’uso di queste vie, e peggio se l’uso è raro o discontinuo
6) Fattori
mentali possono influenzare le percentuali di consumo di grassi e zuccheri
7) Fattori
cellulari specifici (permeabilità di membrana, funzionalità dei mitocondri,
maggiore o minore presenza di carrier o di recettori) possono influenzare
l’efficienza nell’uso dei grassi come substrato energetico.
L’esame separato di questi fattori ci dice molte cose.
Analizziamole una per una.
Se i grassi non possono essere utilizzati da soli, significa
che nella nostra tattica di gara dovremo fare in modo di avere sempre una certa
quantità di zuccheri disponibili. Se le nostre scorte dovessero
malauguratamente finire, ci troveremmo davanti ad un muro, purtroppo ben noto a
molti maratoneti male allenati, o che hanno osato un po’ troppo rispetto a
quelle che erano le loro capacità del momento. In gare di durata (più lunghe di
30-35 km) dovremo quindi sempre usare un mix di grassi e zuccheri, che ci
consenta di arrivare in fondo senza mai finire del tutto la scorta di glicogeno
con la quale siamo partiti.
Come fare? Seguendo la logica dei punti 2-3 e 4, ovvero
mantenendo un ritmo sufficientemente blando da consentirci di attivare un adeguato
consumo di grassi fin dal primo metro di gara, sapendo che il fenomeno verrà
aiutato, via via che il chilometraggio si allunga, dalla tendenza
autoprotettiva che vede incrementare l’uso dei lipidi allo svuotarsi delle
scorte zuccherine.
Il punto 5 ci ricorda che solo con un allenamento regolare e
costante possiamo insegnare al nostro organismo a gestire adeguate quantità di
grassi per minuto (potenza lipidica). In assenza di questo adattamento è
possibile che, appena ci si trovi in gara a correre a ritmi un po’ più elevati
rispetto a quelli tenuti in allenamento, il consumo lipidico cali
drasticamente. Tale evenienza deve essere naturalmente evitata.
Anche fattori mentali possono interferire con le percentuali
di consumo dei substrati. Chi partisse per una gara molto teso, ansioso e
preoccupato (magari perché particolarmente attaccato al risultato in modo
compulsivo) attiverebbe gli ormoni tipici di quella situazione (adrenalina, per
esempio) che possono – come già spiegato nell’esempio della fuga da un
predatore – spostare il consumo tutto sugli zuccheri.
I fattori cellulari, infine, possono influenzare
l’efficienza del trasporto dei grassi dal tubo digerente e dal sangue,
all’interno della cellula, e del loro successivo utilizzo. Vi sono pratiche
alimentari o farmacologiche che possono danneggiare questa efficienza. Per
esempio, un’alimentazione ricca di grassi (a parità di apporto calorico
complessivo) abitua le cellule a fare uso di quel carburante più di una dieta a
prevalenza di carboidrati. Così come una dieta ricca di acidi grassi
polinsaturi (quelli degli oli di semi o di pesce) può migliorare grandemente la
fluidità di membrana, rendendo molto più efficienti gli scambi di nutrienti tra
cellula e cellula o tra cellula e sangue.
Infine, l’uso indiscriminato di antibiotici in grado di
interagire con il DNA batterico (inibitori di sintesi proteica), possono
alterare gravemente la funzionalità dei mitocondri, gli organelli cellulari
deputati alla produzione di ATP per via aerobica (in quanto il cromosoma
interno del mitocondrio è in tutto e per tutto simile a quello batterico).
Mitocondri danneggiati non sono in grado di produrre energia con la stessa
efficienza di mitocondri sani. E’ un esempio di come fattori farmacologici
ritenuti (a torto) di nessuna influenza sulla prestazione, possono invece
alterarla in modo rilevante.
Detto questo siamo in grado di comprendere meglio uno schema
come quello sottostante, che ci illustra come varia la percentuale di zuccheri
e di grassi in funzione dell’intensità di corsa (tratta da McArdle, Katch e
Katch[2]):
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Schema dei consumi percentuali di grassi e zuccheri alle diverse intensità
di lavoro
Zuccheri Grassi Proteine
A riposo 35% 60% 2-5%
Esercizio leggero 40% 55% 2-5%
Gara di resistenza 70% 15% 5-8%
Esercizio intenso 95% 3% 2%
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Lo schema mostra con chiarezza come al crescere
dell’intensità il consumo di zuccheri si impenni. Il consumo proteico qui
riportato per le gare di resistenza è senza dubbio legato al catabolismo
muscolare che tuttavia, con un adeguato allenamento e correndo ai ritmi ideali,
può essere del tutto evitato.
Una volta compreso questo fatto, abbiamo in mano quasi tutti
gli elementi per ragionare su come possa evolversi l’utilizzo dei substrati
energetici durante un’ultramaratona.
Per aiutarci a capire meglio sarà bene fare qualche calcolo
tornando alle equazioni già viste in precedenza, sviluppandole, per esempio,
per una 100 km.
[1] Newsholme E.A. et al. – Physical and mental
fatigue – Brit. Med. Bull., 48-477, 1992
[2] Mc.Ardle W., Katch F. e V.
– Alimentazione nello sport – Ed. Ambrosiana 2001
FINE PARTE SECONDA ......LEGGI LA PRIMA PARTE ....LA PROSSIMA SETTIMANA LA 3^ ED ULTIMA PARTE
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